Fisico per curiosità e poeta per vocazione, Fabio Privitera ha vissuto buona parte della propria vita a Catania. Conseguita la laurea in fisica si trasferisce a Torino, dove vive attualmente. Si occupa di eventi sul tema della coppia e spiritualità e di tutto quanto concerne l’ambito letterario, dalla realizzazione di reading poetici alla conduzione di presentazioni editoriali. Pianista e compositore autodidatta, è autore di poesie e di numerosi Aforismi e pensieri sull’amore, la vita e la mente, pubblicati sui social dove è seguito da numerosi follower. "Il principio delle Nuvole", edito da Masciulli Edizioni, è il suo primo romanzo.
Sono lieto di annunciare che il mio romanzo “αἰών, riaffiorare dall’oblio“, edito da Edizioni Effetto, è stato selezionato per partecipare al format nazionale Casa Sanremo Writers, che si terrà a Sanremo durante il festival.
Un ringraziamento in particolare va alla redazione del magazine MediaVox Magazine per aver selezionato la mia opera, e a tutti i miei sostenitori che sono la vera forza motrice che mi porta a impegnarmi sulle pagine.
11 settembre 2001 – Oggi il mondo è più silenzioso.
Accadde dopo pranzo.
Mia madre entrò in camera, mentre ero al PC. Non ricordo se stessi studiando o facendo altro.
Mi disse di un aereo precipitato a New York e andai con lei in cucina, proprio mentre una telecamera inquadrava l’arrivo del secondo aereo e capii che non poteva trattarsi di una coincidenza, pur non avendo in quel momento chiaro cosa potesse esserci dietro, e che, per molti versi, non è chiaro ancora oggi.
Da allora si è parlato molto, di trame, di odio, di complotti, tuttavia da allora il mondo è più silenzioso, e molti dissentiranno su questo, ma io lo sento così…
Come quando una torre crolla e non resta più nessuno a udire il boato della terra che l’inghiotte assieme.
Quante lacrime quel giorno, quante oggi, e dentro ogni istante che lo richiama alla memoria. Gocce, che a metterle insieme si formerebbe un mare, come quelle persone, precipitate, che di un mare erano solo gocce ma che, senza colpa o onore, hanno firmato, con il loro nome, la storia. Non fu solo la fine della pace, fu l’annientamento di ogni fede. Eppure è dalla distruzione che si può rinascere più forti, che si possono debellare le regole assordanti di un potere arrogante che, non potendo vincere con leggitimità, uccide rivelando quanto, in realtà, sia fatto di vili, deboli e inetti e come tali, capaci di vincere solo così: uccidendo i forti che hanno nel cuore il valore della vita, delle emozioni e la fede nel domani, e che sono molto più numerosi dei primi. Ma quando la paura sarà passata e il mondo uscirà dal silenzio, allora, in quel momento, potremo cantare che siamo tutti dei sognatori e che il mondo è un sogno che abbiamo saputo, infine, costruire.Fabio Privitera – in ricordo del 11 Settembre 2001
Impariamo ad ascoltare le canzoni, quelle ascoltate da chi ci piace, da chi ne siamo innamorati, da chi amiamo. Quelle canzoni che non conosciamo o che abbiamo ascoltato distrattamente o che appartengono a qualche altra storia. Dimentichiamo tutto, le altre storie, dimentichiamo la gelosia o il sentirci esclusi, concentriamoci sul momento, su ciò che già sappiamo e il resto magari è nascosto proprio tra quelle note. Andiamo oltre il testo, una canzone alle volte ci segna per un verso o per l’emozione, nella voce del cantante che l’arricchisce di una sfumatura inimitabile, in cui lui e noi ci specchiamo. Ed è lì che lasciamo noi stessi e ed lì che vorremmo essere ritrovati, da chi amiamo, o compresi nonostante si tratti di un ricordo che può far male.
Per loro è uguale, per questo dobbiamo cogliere ogni opportunità, perché alle volte occorre trasmettere fiducia, sensibilità, condivisione affinché una persona si apra e ci conduca davvero nel suo mondo, nella sua casa, consapevoli che una volta entrati non vorremo più andarcene.
Una canzone, un suo verso, una inclinazione particolare nel timbro del cantante, possono essere la chiave per la serratura, che un giorno lei cambiò cosicché potesse entrare solo chi ne avesse saputo forgiare una nuova, identica a quella abbandonata in quella traccia che ora sta ascoltando.
“Chiuse le parole in un quaderno affinché non sentissero più il contatto di un mondo così diverso e freddo dal calore che esse emanavano. Chiuse lì se stessa, nascondendolo, senza che, per lungo tempo, vi tornasse, dimenticandosi infine in quelle pagine e dove si trovasse ormai il rifugio dei suoi ultimi sogni. Smise di scrivere, a volte anche di parlare.”
Ci hanno ingannato persino sulla mitologia, così parrebbe che il gigante Atlante non sostenga la Terra, bensì il Sole. È stato lui stesso a confessarlo, dopo la messa in onda della trasmissione “Le Iene” e al suo servizio sui Terrapiattisti. Durante questo, infatti sarebbe infatti trapelata la verità sulla costruzione delle chiese e, in particolare, sulla grandezza delle porte, ciclopiche, che ne costituiscono gli ingressi. Esse infatti sarebbero necessarie affinché vi possano entrare i veri utenti per le quali sono state costruite, ovvero i giganti. Infatti, le chiese, delle quali molti di noi calchiamo ogni giorno il suolo, sarebbero in realtà dei templi costruiti dai giganti per i giganti.
C’è poco da dire, la teoria della Terra piatta funziona ed è ben salda delle basi scientifiche già ben avanzate oltre 2500 anni fa, infangate in seguito dai regimi che si sono susseguiti nella tirannia sul pianeta, ma che fanno capo da secoli a un unico ordine: la massoneria.
Dalla difesa dell’orlo interno da parte di un manipolo di millenari guerrieri, all’effetto pac-man che spiegherebbe l’illusione di sorvolare un globo quando, dopo aver viaggiato in aero per ore la superficie piatta del pianeta, ci ritroviamo nello stesso punto. Soluzioni ben più semplici di una sfera, la cui idea servirebbe solo a renderci schiavi, a rimbambirci. D’altra parte, già Conan Doyle faceva affermare al suo Sherlock quanto spesso i misteri più intricati avessero soluzioni semplici. L’autore inglese conosceva già la verità e cercava di diffonderla attraverso i suoi racconti per non farsi scoprire dagli agenti massoni, rischiando di finire all’indice o, peggio ancora, in Australia. Ovvero nel nulla.
Tuttavia, una cosa non tornava. Se la Terra è piatta, come fanno a esistere il giorno e la notte? Sia nel caso che giri, sia nel caso che sia il sole a girare attorno a essa, come può esserci una transizione lunga di diverse ore tra il giorno e la notte? Spiego meglio su cosa si oppongono gli alchemici che, oggigiorno, si accreditano il nome di scienziati. La Terra è piatta, su questo non vi sono dubbi, per cui i raggi del sole cadrebbero su di essa nella stessa direzione del piano dell’eclittica (il piano su cui giacciono Sole, Terra, pianeti e molti altri oggetti del sistema Solare) illuminando costantemente e nel medesimo istante tutte le terre emerse. Questo è irragionevole, secondo gli scienziati, a meno di pensare che anche il fuso orario sia una menzogna o che metà della popolazione mondiale menta nel dire che quando da noi è giorno da loro è notte. Il punto però è che anche da noi, in Italia, ad esempio, arriva la notte e dura diverse ore. Ricordiamoci che è il sole che ci gira attorno, noi siamo al centro dell’universo. Questa è una verità inoppugnabile. Per cui è evidente che la Terra non è poggiata sull’eclittica, ma è messa di traverso, come una moneta che poggia col suo bordo sul tavolo. Come facciamo a non cadere noi, e tutta l’acqua? Ricordiamoci che abbiamo un orlo alto 400 Km che ci fa da sponda, altrimenti a cos’altro servirebbe? Detto ciò, non era ancora chiaro come la notte potesse durare tanto quanto il giorno, alle volte. I 400 km di barriera, servono anche a fare un po’ d’ombra, ma non sono sufficienti a coprire mezzo pianeta, né spiegano come si passi gradatamente dal giorno alla notte, per quanto il suo colore smeraldo aiuti in tal senso. Tutto questo, fino a poche ore fa. La risposta a tutti questi interrogativi è giunta, infine, proprio per bocca di uno dei giganti a cui sono stati destinati i templi che noi chiamiamo chiese.
Figlio del titano Giapeto e di Climene (fonte wikipedia), Atlante, messo alle strette dopo un lungo interrogatorio, seguito al suo arresto e a quello di altri giganti, dopo le rivelazioni del servizio delle Iene e alla perquisizione nella sua abitazione nei pressi di Giove, (il Dio non il Pianeta), avrebbe infine confessato: “Ho stato io spengere il sole” – aggiungendo – “ho ricevuto all’alba dei tempi ordini precisi. Secondo determinate regole, io debbo accendere e spegnere in modo graduale il Sole, di modo da dare l’apparenza di quanto affermato da Keplero con le sue leggi. In questo modo si inganna l’uomo sul fatto che l’universo obbedisca a leggi empiriche che l’uomo stesso è in grado di comprendere e, persino, prevedere.”
Atlante che in realtà regge il Sole e ne coordina l’accensione e lo spegnimento per darci l’apparenza del giorno e della notte.
Alla domanda degli inquirenti su chi gli avesse dato tali ordini, il gigante è scoppiato in lacrime, raccontando la sua triste storia di schiavo, egli stesso, da millenni alla mercé di uno spietato ricatto da parte del dio massonico Bafometto, che tiene in ostaggio i suoi figli e l’amato padre nelle profondità della piramide di Cheope. “Capite ora il perché delle dimensioni di quegli edifici?” – lo sfogo di Atlante – “Le mummie ce l’hanno messe dopo gli umani. Son prigioni per i giganti ribelli e per le loro famiglie, quelle. E per lo stesso motivo l’ambiente circostante è desertico”.
Al di là del tono scherzoso col quale ho voluto ironizzare sulla Terra Piatta, continuo a essere dell’idea che ogni idea e ogni teoria sia proprio questo, una teoria. Valida, quindi, fintantoché non vi si apporti prove scientifiche, oggettive e riproducibili da chiunque che ne provino la fallacia. Chiaro, ciò che smentisce categoricamente la teoria sulla Terra Piatta sono le stesse che loro classificano come parte della grande bugia. Inutile raccontare loro che le prime teorie sulla forma della terra affermavano che fosse già un globo il cui diametro è stato calcolato con sufficiente precisione, per l’epoca, circa 2500 anni fa, se dicono che l’informazione più autentica viaggia in rete, essendo libera. Beh, io ho la strana convinzione che a qualcosa di “libero” possa accedere chiunque, persino gli stessi cospiratori che volessero far diffondere una qualche teoria sulla forma della terra, diversa da quella convenzionale, per convincere chi già crede nell’esistenza di una cospirazione, che ci vuole schiavi, che persino la scienza mente e che la terra è tonda. Forse faccio parte anche io di una cospirazione, quella che vorrebbe che si ritorni nelle biblioteche e si facesse una ricerca seria, prima di prendere pezzi che circolano di qua e di là sulla rete e di dare addito a qualunque complotto perché, se un complotto c’è, è molto ma molto più raffinato, altrimenti molte persone non arriverebbero neanche davanti alle telecamere, come una volta non arrivano neanche a scrivere su un giornale. A tal proposito, mi torna in mente il Pendolo di Foucault, di Umberto Eco, in cui l’idea del complotto era nata per gioco e finì nel peggiore dei modi per i protagonisti.
Quando ami forte inizi a pretendere, quando ami forte inizi a progettare, a proiettare nel futuro quegli istanti di vita che vorresti condividere per sempre con la persona che hai accanto. Ami forte e tutto potrebbe andar bene se non esistessero le circostanze, un confine, un limite, una condizione non elastica che non ti permette di muovere lo sguardo oltre, di vedere il possibile. Tu provi, ma finisci per constatare la solidità, l’altezza di quella siepe e allora inizi a pretendere qualcosa pur sapendo che l’altro non può e che questa impossibilità non dipende affatto dalla volontà. Mettiamo insieme tante parole, la gente ci scrive libri sul volere e potere, sulla forza dell’amore che smuove le montagne, eppure alle volte l’amore nasce davvero in circostanze bastarde, estreme e tali da creare delle fratture prima interne a noi stessi e poi, inesorabilmente, tra noi e l’altro.
Photo Tina Kazakhishili-Canaud
Inutile ripeterti che eri al corrente dei rischi. Non è che l’entusiasmo sottovaluti, l’entusiasmo valuta l’opportunità che qualcosa di diverso possa accadere, e se non accade occorre prendere atto che davvero esistono amori impossibili perché il loro realizzarsi creerebbe comunque malessere o disagio altrove. Occorre mettere da parte la pretesa anche se questo vuol dire rinunciare ad amare forte, rinunciare a far sentire questo moto dell’anima che ci rende il petto umido e schiaccia lo sterno verso l’interno, fino a opprimere il cuore. Occorre mettere da parte le conclusioni facili, l’amore non è facile. L’amore è un impegno quotidiano e quando ci viene preclusa la possibilità di svolgere tale impegno gli scompensi non sono mai pienamente compensati dagli attimi che puoi condividere.
Quando ami forte devi avere il coraggio di prendere tutta questa forza tra le mani e portarla al viso affinché essa riscaldi le lacrime e tu possa sentirle divenire aria e risalire al cielo. Quando ami forte, ma non basta tutto l’amore che puoi, prendi fiato, respira, tornerai a piangere ripensando a quanto ci avevi puntato e quanto hai perso, ma noi…noi esseri umani non perdiamo mai qualcosa davvero. Le ferite magari non si rimarginano, ma vengono dimenticate. La fatica viene riassorbita dal sonno che prima o poi riusciamo a recuperare. E l’amore… l’amore prende nuove forme che non avremmo potuto sospettare e torna a essere forte, perché quello che più desideriamo è sentirci umani ed è l’amore a renderci umani.
Si può piangere anche per chi non conosci, che non hai mai incontrato, se quel qualcuno ha, in qualche modo, determinato certe tue scelte, le tue passioni e non solo questo, per me, se ancora adesso, mentre scrivo quest’introduzione, il mio corpo è soggetto ai brividi che certe reminiscenze mi provocano. Credo sia anche questa manifestazione dell’energia che un’anima ha, e che ci raggiunge e sfiora dal momento in cui il corpo non la tiene più ancorata alla quadridimensionalità. Il cuore ti si apre, rispondi a questa specie di saluto con una gioia stretta alla malinconia, perché per te quella persona ha rappresentato la vision al quale volevi tendere già da adolescente.
1991. Non ricordo la data esatta, né cosa fossi andato a cercare quella mattina in libreria. Era la libreria in cui solitamente prenotavo i libri di scuola, avevo tredici anni. Non esiste più quella libreria, esiste ancora il libro che quel giorno comprai. Il primo saggio di fisica che lessi, “Dal big bang ai buchi neri – breve storia del tempo”. Non so cosa mi avesse attratto, se il titolo o la copertina, in cui un getto di plasma veniva espulso da un nucleo galattico attivo, al cui intero vi era un gigantesco buco nero. Leggendolo, ciò che mi colpì non fu tanto il contenuto. Tanti concetti li conoscevo già. Sin da piccolo ero appassionato di astronomia e astrofisica. Fu la figura dell’uomo che lo aveva scritto, che fino ad allora non avevo mai sentito nominare, a sconvolgermi: un uomo a cui a 21 anni, quando era ancora un giovane ricercatore di Cambridge negli anni 60, fu diagnosticata la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), una malattia neurodegenerativa che lascia pochi anni di vita. All’epoca non gli diedero più di qualche anno di vita, diagnosi che lo portò a una profonda depressione, dalla quale si riprese quando la malattia sembrò fermarsi, benché lasciandoli poche possibilità di muoversi e di non affaticarsi dopo pochi passi. In un certo senso rivalutò la sua esistenza, trovò un rinnovato interesse nella ricerca e nella vita in generale. Già allora fui preso da un sentimento di forte ammirazione, per come fosse riuscito a superare uno stato d’animo sicuramente devastante, reagendo grazie alla profonda passione e alla curiosità che lo hanno contraddistinto. Rigo dopo rigo, il modo che aveva di raccontarsi e raccontare l’evoluzione dell’universo, dalle teorie più avvalorate alle proprie, mi catturava. Durante l’adolescenza lessi quel libro sei volte, sempre con la stessa voglia. L’autore è Stephen Hawking, da oggi completamente parte di ciò di cui cercava di sondare le leggi.
È sopravvissuto più di 50 anni oltre la diagnosi, ha avuto tre figli, ha amato un’unica donna, ha espresso le più brillanti intuizioni nel campo dell’astrofisica dai tempi di Einstein, proponendo una tra le più audaci e sorprendenti teorie sui buchi neri e sulle singolarità in generale, vale a dire quelle zone in gli ordinari metodi matematici della fisica non funzionano più e nulla siamo in grado di dire su cosa diventino lo spazio e il tempo all’interno di tali strutture così estreme. Forse a Stephen è accaduto proprio questo: per essere in grado di dire qualcosa riguardo oggetti così inesplorabili e mal disposti verso le normali descrizioni matematiche, egli stesso è dovuto diventare una singolarità, una mente che, nonostante un corpo che si opponesse alla vita, sopravviveva sorprendentemente contro ogni logica per potersi esprimere in modo meraviglioso.
In “A brief hisotory of time” scrisse che l’essere nato trecento anni dopo il giorno della morte di Galilei era forse un segno del destino per quanto riguardò la scelta dei suo studi. Beh, oggi è il 14 Marzo, e 139 anni fa nasceva Einstein.
“A parte la sfortuna di contrarre la mia grave malattia dei motoneuroni, sono stato fortunato sotto quasi ogni altro aspetto. L’aiuto ed il sostegno che ho ricevuto da mia moglie, Jane, e dai miei figli, Robert, Lucy e Timmy, mi hanno dato la possibilità di condurre una vita abbastanza normale e di avere successo nella carriera accademica. Un’altra fortuna che ho avuto è stata quella di scegliere fisica teorica, poiché si tratta di una scienza che sta per intero nella mente.”
Stephen Hawking (Oxford 8 gennaio 1942 – Cambridge 14 marzo 2018 )
Dormi già tre ore, dopo essere rincasato, col gatto che ti si è accovacciato accanto, perché comprende, da qualcosa che si è polverizzato insieme al tuo odore, che hai necessità di quiete. Funziona e, quando ti svegli e t’accorgi che devi ancora cenare, stenti a volerlo disturbare dal suo sonno. Lo accarezzi, lo riporti dolcemente su dal torpore e ti alzi.
Prepari la carne, con la pace ancora dentro e la mantieni centrandoti sul respiro. Un po’ d’olio, qualche goccia di aceto balsamico e ti godi l’attimo, il benessere di quel profumo che comincia a venir su, dal suo sfrigolare, e ad allargarti le narici e farti respirare con più piacere.
Ti servi su un piatto la carne, ti versi una birra speziata, vai alla finestra e pensi alla Luna; a quanto deve essere bella oltre le nubi che tappezzano il cielo; a quel cielo stellato oltre le nubi, che comunque c’è, che comunque ti parla e ti ascolta, che comunque risplende e ti fa risplendere. Nel mentre il gatto è tornato sul letto, dopo averti seguito per un po’ nel tuo giro, tra il bagno e la cucina, e averti accompagnato con lo sguardo nella preparazione della cena. Ora, dorme di nuovo.
Gusti ogni morso di tutto questo, di tutto quello che giunge ai tuoi sensi: la carne; la musica che hai messo per la meditazione; il profumo dell’incenso; il soffio di luce delle candele.
Ogni sorso di birra lo lasci scorrere lungo la gola e ne senti il refrigerio sul petto. Ti rigenera, col suo sapore speziato, ti ridesta alle percezioni più profonde. Ritorni a quello che hai pensato rincasando, qualcosa che sapeva di letto o udito: impara l’arte e mettila da parte, dicono. Dicono anche di studiare. Studiare per qualcosa che ti possa dare sostentamento, però a questo hai voluto aggiungere che occorre anche che l’arte possa tornare di tanto in tanto per renderci vivi, riflessivi, tenerci a galla in questa vita che, per lo più, tende a sommergerci in queste onde di variabili avvenire. C’è del meraviglioso nell’imperscrutabilità di tutto questo, ma ne verremmo schiacciati se non esistessero la poesia, la musica, la pittura e tutte le altre forme d’arte a distoglierci da quel quotidiano che non si conforma a noi. Assimila l’arte e sentila tua parte.
Finirò questa notte – intanto che sono tornato in me e la terza persona mi è rimasta accanto, o nascosta, a osservarmi – ancora dedicandomi a me stesso, beneficiando di tutto quello che ho assimilato affinché il mio corpo, la mia mente, le mie emozioni e il mio spirito si fondano in un unico specchio per restituire a tutto il mio sentire l’immagine più autentica e integra della mia natura. Quell’immagine la quale, ogni volta che l’osservo, sa rendermi sempre qualcosa di più: una conoscenza più intima e profonda di quello che sono. Finalmente, tornerò a dormire anche io, accovacciandomi accanto al gatto.
E con questo vi saluto, vi auguro la buonanotte e vi invito a uscire fuori e a cercare la Luna o a fare qualcosa per rendere questa sera una sera piena di voi stessi.
I legami esistono già altrove, oltre lo spazio e il tempo.
Ciò che vedi, ciò che tocchi, ciò che ascolti nella folla non è che una minutissima parte di ciò che, usualmente, chiami realtà. L’esistenzava ben oltre: è dentro, sul confine e al di là delle pareti costituite dai nostri sensi. Nella sua estensione, le anime ne sfiorano gli infiniti estremi; si sovrappongono l’una all’altra e alcune, più simili o affini, si trovano già intrecciate tra loro.
In silenzio e al buio, a volte è possibile percepirne la presenza; la sensazione che, in quell’infinito, qualcuna di queste anime avvolga la nostra. È reciproco. Esse si guidano a vicenda, senza che la coscienza possa porvi attenzione, affinché i corpi che contengono si ritrovino e riconoscano anche nell’ordinaria realtà in cui si muovono.